VIDEO
Per i video riguardanti gli interventi durante il Consiglio Comunale, conferenze stampa e interviste varie vi rimando al mio canale YouTube, Filippo Petrucci, e a questa pagina.
Qui, invece, trovate i servizi di Videolina relativi alla mia (indimenticabile, per me) esperienza come Alter Nos nel 2013:
La Festa di una Sardegna unita: rinnovato il voto a Sant’Efisio
Tra fede e turismo: cartoline di Sant’Efisio nel mondo
Sant’Efisio ritorna a Cagliari
Sempre su Sant’Efisio
Il saluto dell’Alter Nos Filippo Petrucci davanti al Municipio
RICORDI
Alcuni dei momenti più belli di questi ultimi anni.

































CONFERENZE E INTERVENTI
Conferenze organizzate e co-organizzate, iniziative e eventi a cui ho preso parte, miei interventi sulla stampa in ambiti vari.
16 marzo 2012 – Investiamo in mobilità

Informazioni dettagliate | Video sull’evento | Breve rassegna stampa
16 settembre 2012 – “Città Habitabile”. Un progetto per l’edilizia popolare di qualità
Breve rassegna stampa
La Nuova Sardegna | L’Unione Sarda
Dicembre 2012

Questa iniziativa (organizzata da Meglio di prima NON CI BASTA! insieme al Collettivo Attivo), nella quale era presente anche l’Assessore Luisanna Marras, ha dato lo stimolo a un ampio intervento effettuato nel quartiere di san Benedetto (quartiere anagraficamente più “anziano” di Cagliari) per l’abbattimento di tutte le barriere architettoniche esistenti. Di seguito potete leggere l’evoluzione concreta nata da quell’incontro Abbattere le barriere architettoniche per una città più vivibile. Camminando per il quartiere è oggi palpabile un modo diverso di poter vivere la città (una città veramente per tutti, anziani, portatori di handicap, bimbi).
20 giugno 2013 – Green Economy:passare il testimone, promosso dal centro studi Edizioni Ambiente con la collaborazione della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, Roma, a cui ho preso parte.
30 novembre 2013 – Finisce la Terra?

Informazioni dettagliate | Rassegna stampa
2014 – Meglio di prima NON CI BASTA! ha aderito al New Deal for Europe

12 gennaio 2015, Riflessione su censura, autocensura e libertà di espressione, L’Unione Sarda
Il vortice di pensieri stimolato dal recente attentato a Parigi induce una sere di riflessioni; una di queste riguarda la libertà di espressione oggi negata, “compressa” o rischiosa in moltissimi paesi del mondo, ma talvolta autolimitata per paura.
Settant’anni fa la maggior parte degli italiani vivevano in case senza fogne, spesso senza acqua e luce, con una mortalità infantile spaventosa e una alfabetizzazione limitata; enormi progressi sono avvenuti in questi ambiti, altrettanti se ne sono compiuti per ciò che riguarda la libertà di espressione e la censura.
Poche settimane fa mi è capitato di parlare con una persona “di sinistra” che ha conoscenza del mondo musulmano. Tentavo di porre in evidenza che, oggettivamente, in Europa è in atto un’autocensura su alcuni temi; autocensura che limita la nostra libertà di espressione e che nasce fondamentalmente dalla paura. Come esempio portai proprio Charlie Hebdo, la cui sede era stata fatta saltare da una bomba nel novembre 2011, dopo una minaccia già nel 2006 a seguito della pubblicazione delle caricature sul Profeta Maometto apparse in precedenza sul giornale danese Jyllands-Posten.
La replica fu che Charlie Hebdo era un giornale inutile e di fascisti (a dire il vero usò un termine molto più pesante). Ho ripensato a quel colloquio in questi giorni e credo che un problema rilevante oggi in Europa sia esattamente quello dell’autocensura e della paura; probabilmente Charlie Hebdo era percepito da tanti come un giornale che poteva creare problemi e inutili tensioni. Per capirci, è la stessa terminologia che è stata usata, per altri temi, contro Saviano o Cavalli, da alcuni sbrigativamente definiti come un problema, anzi, per essere chiari, a volte avvertiti come un vero fastidio, persone che alla fin fine, come disse Andreotti di Ambrosoli, “se la sono cercata”.
Il mio pensiero corre a Héctor Oesterheld, grandissimo autore argentino dell’Eternauta che venne fatto scomparire (insieme alle 4 figlie) dalla dittatura fascista dei generali argentini; credo che nessuno si sognerebbe di pensare in questo caso che “se la sia cercata”.
Viviamo in un’ Europa che è riuscita, dopo secoli di lotte, a permettere ai giornalisti e agli artisti di potersi esprimere liberamente: espressioni artistiche blasfeme, irrisorie, visivamente o verbalmente violente. Da cattolico spesso non ho amato certi eccessi, ma sono comunque felice di vivere in una parte di mondo dove tutti possono esprimere le proprie opinioni liberamente.
Con un distinguo: un conto è l’espressione di satira o artistica (per quanto contestabile, deprecabile o di scarso valore), un conto quando un politico soffia sul fuoco coscientemente (come Calderoli con le magliette anti-Islam o il “maiale day” contro la costruzione di nuove moschee), per raccattare due voti nati dall’odio. Charlie Hebdo ha attaccato sia il cristianesimo che l’ebraismo, usando toni pesantissimi e suscitando aspre critiche, ma il dato di fatto è che le minacce prima e poi gli attacchi sono arrivati da fondamentalisti musulmani. Quello che sarebbe importante cominciare a fare da oggi (e forse sarebbe stato corretto iniziare da tempo, è interrogarsi seriamente all’interno del mondo accademico, politico e giornalistico, sulla nostra paura, sugli eventuali limiti alla libertà di espressione e sulla nostra autocensura. Perché oggi, ed è questo il dato di fatto su cui ci si dovrebbe soffermare, nei confronti dei fondamentalisti islamici c’è un’evidente paura, che spinge a non affrontare alcuni temi per evitare di scatenare possibili pericolose reazioni (si vedano le prese di posizioni dei giornali anglosassoni che hanno deciso di non pubblicare le vignette né prima né dopo il massacro).
Questa autocensura, non percepita solo da chi non la “vuole” vedere (spesso le stesse persone che ogni giorno si avvalgono di queste libertà che in gran parte del resto del mondo gli sarebbero negate), condiziona la nostra libertà di espressione e rischia di condizionarla sempre più. Se selezioniamo l’uso della satira, della critica, delle riflessioni autocensurandoci rispetto a determinate religioni stiamo abdicando alla nostra libertà. Se decidiamo che i cittadini musulmani (francesi, italiani, in generale europei) sono, come devono essere, cittadini uguali e integrati e se la nostra vuole essere una società multiculturale, non possiamo per paura abdicare al diritto di satira, altrimenti tradiremmo il concetto universale di libertà di espressione.
29 gennaio 2015 – L’energia al tempo della sharing economy

18 aprile 2015 – No al TTIP

Il testo del mio intervento | mozione TTIP | Comune di Cagliari
13 giugno 2015, Lettera aperta a Pigliaru, L’Unione Sarda
Caro Presidente,
sono tra i tanti che, convintamente, ti hanno sostenuto attivamente durante la campagna elettorale affinché potessi cambiare la nostra regione.
Cagliari ti ha votato: 5000 voti in più rispetto a Cappellacci (in totale ne hai presi 20.000 in più), voti molto importanti per la tua elezione, che sono arrivati anche perché noi, centrosinistra cagliaritano, ti abbiamo sostenuto compattamente.
Ti scrivo in quanto amministratore cagliaritano e mi chiedo, preoccupato, cosa finora abbiate fatto per la nostra città.
Immaginiamo di percorrere insieme un percorso che dall’ingresso di Cagliari ti porti in riva al Poetto, per un bagno ristoratore.
Eccoci in viale La Playa: uno dei primi atti che votammo come Consiglio -4anni fa- fu una deliberazione per il nuovo campus, competenza ERSU (ossia Regione). Nulla, ad oggi, è stato fatto.
Dalla piazza Matteotti per muoverti vorresti prendere la metropolitana leggera: vi siete espressi favorevolmente sulla sua realizzazione ma attendiamo ancora i finanziamenti per questa tratta (così come attendiamo ancora, tra le altre cose, le risorse per terminare il collaudo del parco della musica nonché che la Regione collaudi e apra il parcheggio di via Caprera, 500 parcheggi sottratti alla collettività).
Se ancora proseguiamo verso il mare, vedremo che molto territorio è occupato dai militari. Non sembra che abbiate colto le opportunità sulle dismissioni delle servitù militari, migliaia di metri cubi che potrebbero diventare una risorsa: case, alberghi, ostelli e studentati. Sempre in zona militare, non ho sentito proposte in merito alle cisterne della Sella del Diavolo, che potrebbero essere usate in accordo coi militari come cisterne per il bunkeraggio (dato che ad oggi petroliere e grandi navi non possono fare rifornimento in nessun porto sardo).
Il nostro percorso si conclude al Poetto. Andando coraggiosamente incontro a critiche e disagi per i lunghi lavori, l’amministrazione cittadina, Sindaco Zedda in testa, è intervenuta per realizzare quel lungomare che Cagliari ha sempre sognato e non ha mai avuto e per mettere finalmente ordine nei baretti e sull’arenile. Due volte abbiamo votato una variante sull’ospedale marino (vostra competenza), un rudere che ha già un finanziatore pronto a intervenire e che aspetta solo che la Regione si attivi: cosa manca per sbloccare l’impasse? Quanto ancora dovremo attendere per vedere abbattuto almeno il pronto soccorso adiacente, bene senza valore alcuno?
Caro Presidente, non mi arrendo e continuo a pensare che sarete capaci di dare vita a quelle politiche forti e coraggiose per la nostra regione per quali vi abbiamo eletti; dunque attendo ma intanto ti chiedo anche di considerare che Cagliari, che ti ha eletto Presidente, è la capitale di questa nostra regione e meriterebbe un po’ di considerazione e rispetto in più.
Filippo Petrucci, Consigliere Comunale, lista Meglio di prima NON CI BASTA!
21 dicembre 2015, Riflessione sull’aggressione e la morte di Artan Meta, L’Unione Sarda
Caro Direttore,
questa è una nota che non credevo fosse necessario scrivere. Ho aspettato qualche giorno poi, non vedendo particolari reazioni di sorta, ho voluto farla. Venerdì 11 dicembre Nicholas Melis ha patteggiato una pena di 4 anni e mezzo per omicidio preterintenzionale: aveva ammazzato due anni fa Artan Meta, un signore albanese che viveva e lavorava a Villasor da venticinque anni, più anni di quelli che aveva il suo aggressore sardo. Lo aveva aggredito per una futilità: Artan Meta gli aveva detto di non dare colpi a un distributore di sigarette (pare per 70 centesimi di resto non erogato) e il diciottenne aveva reagito prendendolo a calci in faccia. Si era poi vantato su facebook della sua azione. Il signor Meta cadendo aveva sbattuto la testa ed era morto dopo alcuni giorni di coma. L’Unione Sarda domenica 13 dicembre ha dedicato un articolo all’amarezza e al dolore composto della famiglia del signor Meta che pur comprendendo le cause di questo esito processuale, si domandava come mai, se l’imputato è stato ritenuto semi infermo di mente, avesse comunque potuto poi prendere la patente. La cittadinanza e il Comune di Villasor sono stati vicini alla famiglia Meta in questi due anni, molteplici sono stati i momenti di ricordo.
Ho fatto una ricerca su Google per vedere quanti articoli o ragionamenti siano stati fatti su questo delitto stupido nei due anni trascorsi, o se, prendendo spunto da questo episodio ci fossero state riflessioni sul disagio sociale esistente o sulla genesi stessa di questo tipo di violenze. Zero. A parte qualche articolo nei giorni seguenti al delitto, non c’è poi stato nessun ricordo, nessuno scritto che provasse a farsi domande su quella aggressione. La destra fascista e reazionaria che avrebbe imbastito un carosello infame se il delitto fosse avvenuto a parti inverse, non ha proferito verbo; ma anche gli intellettuali di sinistra, che intervengono su città e campagne sarde, non hanno avuto modo di soffermarsi un attimo su questo fatto. La violenza sul signor Meta è stato un accanimento banale, da periferia degradata, da sottoproletariato urbano: tu ti permetti di farmi un’osservazione e io ti picchio, perché lo posso fare. Abitare in un paese, in questo caso era Villasor ma non è rilevante, o in situazioni di degrado più tipicamente cittadine, sembra non faccia più differenza. La volgarità della vita di tutti i giorni, la sua mediocre e ordinaria ripetitività, è comune a tutti gli ambienti, quello cittadino e quello più riparato (e con maggiore controllo sociale) che esiste in realtà più piccole. Forse è l’incapacità di spiegarsi certe violenze che non ha scatenato dibattiti e dubbi. Resta la speranza che sia questo il motivo, e non il fatto che il morto fosse un signore albanese, che da “appena” venticinque anni viveva in Sardegna.
